Confession of a wifiaholic #17: la percezione dello spazio e l’aggregazione solitaria

Una cosa di cui sono abbastanza sicura, è che cambierà (di nuovo) il senso dello spazio. Potranno anche non essersi ancora affermate applicazioni specifiche, potrà anche non essere ancora percepito come una ambiente sociale, ma la diffusione del wi-fi sta sicuramente cambiando il “dove sono” e l’”a chi sto parlando”.
C’è questo bel capitolo, all’interno di Networked Publics, sui luoghi. Parla di come le reti digitali cambiano il modo di percepire lo spazio pubblico.
E lo fa a partire da un posto ben specifico: Starbucks.
Lo porta come esempio di uno spazio, il caffé, che nel XVIII secolo era THE Sfera Pubblica per eccellenza. Ora invece, dicono Varnelis & Friedberg, esprime il bisogno degli individui di “aggregarsi in solitudine” (“gather toghether, even if in our solitude“).
Un’ipotesi potrebbe essere che gli hotspot messi a disposizione dai locali commerciali costruiscano un luogo di aggregazione senza socializzazione. Uno spazio sociale funzionale non all’interazione con i cafégoers compresenti, ma alla condivisione della propria assenza con persone che frequentano quei luoghi fisici per abitarne comunicativamente altri.
Ad aggregare, dunque, è il bisogno di essere altrove? Oppure il desiderio di sentirsi immersi nel corpo della folla, quando si devono convogliare le proprie energie mentali in un lavoro digitale?

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Vi capita mai di essere a casa, davanti al computer, metterlo in borsa, entrare in un bar, connettervi ad internet e continuare a fare quello che facevate nella vostra casa silenziosa 30 minuti prima?

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2 risposte

  1. “aggregarsi in solitudine” è uno dei miei sport preferiti..
    Anche per questo trovo davvero banale questa considerazione su Starbucks: di luoghi che hanno svolto questa funzione ce ne sono stati sempre molti. Leggere un libro al parco, un giornale in un bar, eccetera: al bar mica ci vado per tutto tranne che socializzare! Solitudine nella folla, silenzio nel rumore: condizioni comuni, nelle culture moderne metropolitane. E persino viaggiare da soli, in alcune condizioni, può esserlo.

    Altra cosa, invece, la condizione di wifaholic come ricerca spasmodica dell’always on, che genera nuove tattiche varie (divertenti o patologiche che siano) nell’uso e nell’appropriazione dei luoghi. Soprattutto pubblici. Se penso al viaggiare e andare in vacanza oggi, in luoghi anche lontani… Altro che Starbucks: per i veri wifiholic girare il mondo è un bel casino (ma anche pieno di soddisfazioni – e occasioni paradossali di socializzazione a partire dalle tecnologie).

    Ciao

    1. ciao Matteo,
      certo l’aggregazione in solitudine non è una pratica nuova. anzi, mi interessa capire quali sono le similitudini tra le forme di socializzazione mediate dal wifi e quelle precedenti. per poi guardare alle differenze. credo ad esempio che l’aggregazione solitaria abbia i suoi spazi di legittimazione. ad esempio non è così comune (in Italia) vedere persone in locali pubblici che vanno in un bar a leggere un libro. mentre credo che ad esempio la presenza del wifi legittimi la navigazione solitaria, proprio perché percepita come 1) la risposta ad un’esigenza di infrastruttura tecnologica et 2) una pratica socializzante e/o produttiva, anche se realizzata altrove rispetto al contesto fisico.

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